Non sei sepolto in un campo di grano.
Bello è pensarti polline fra dossi
dove fecondi rosa e tulipano,
vigile al sole a un coro d’ombre e fossi
a un raggio d’api a una dissolvenza
dei tuoi mille papaveri, i più rossi…
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Tutti morimmo a stento con l’arsiccio
d’un desiderio mai salpato. Vasto
è il mare. E l’ansia è questo porto riccio,
questo essere diversi per contrasto
col mondo che bonaccia rende bava
questo dissidio fra il mondo ch’è guasto
e un ritmo leggerissimo di giava.
La città vecchia, il vecchio professore
che finge la sua notte notte brava…
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Il ricordo del padre. Un giorno avresti
detto: Non so né dove o come o quando
ma vorrei rivederne gli occhi i gesti
e il sorriso. Utopia di contrabbando
e, se utopia mai fosse, tu magari
la nutrivi eversiva calcolando
di spiazzare per giunta i calendari
del potere. Lui, se ricicla tutto:
bombe sbadigli borghesucci vari,
nulla può col fantastico che è frutto
d’un desidero estremo e n’è corolla
fuori dal tempo. Quando si fa brutto
poi importante è fuggire dalla folla
televisiva, dal martellamento.
Agli altri sembri snob nelle midolla?
Tu lo sei, perché il gusto è isolamento,
isola del vaquero. La Sardegna.
Isola del sequestro. Dove il vento
dell’Hotel Supramonte arde e consegna
la libertà a banditi pellerossa
figli d’un temporale spaccalegna.
Libertà dolce vino delle ossa
libertà gratis come la tristezza
ha il prezzo amaro d’un riscatto: possa
riscattare la vita e la bassezza
dei veri sequestrati. Non c’è legge
più aspra d’un perdono senza asprezza.
Fu il tuo pedaggio francescano a un gregge
di umanità recinta, ma i relitti,
gli scarti della terra, i fuorilegge,
restavano il tuo mondo, e gli sconfitti
(Marinella, Suzanne). E tu perfino
avevi il segno doc dei santi guitti…
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Anime salve, e nomadi che slomba
la vita, quei rifiuti di risacca
abbaglianti e diversi. Un faro piomba
su Princesa. E’ la pecora, è la vacca.
Un maschio alle sue natiche si appende,
ma il cuore travestito di baldracca
squilla di luce e tutto qui si arrende.
Un modo ci deve essere di vivere
senza dolore senza reprimende.
La maggioranza? Sta. Ma non sa scrivere
d’avere in odio l’odio. Ed è un pianeta
che riesce a malapena a sopravvivere
a darsi fiato ossigeno una meta
da inventare. Giriamo a non finire
a vuoto: storia e specchio del poeta
che s’è spiato illudersi, fallire,
ed abortire i figli come i sogni.
Uno specchio di neve ove smentire
la nostalgia ridicola per ogni
passata del ricordo. L’inquietudine
è il meno necessario dei bisogni.
Ma la misura esatta della gratitudine
pota le croci dentro i cimiteri.
Il fiore sacro della solitudine
lo hai coltivato. I mastri giardinieri
ti sono grati. I poeti in assoluto.
Anche quando le viole dei pensieri
sbocciavano all’amore. Ma perduto.